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QUANDO IL GIORNALISMO FA MALE…

Posted on: 25 settembre 2023

vignetta giornalismoLo ammetto in premessa: il Sig. Pietro Tidei, già deputato della Repubblica e più volte Sindaco in diversi Comuni del litorale nord del Lazio, “a pelle” non ha mai riscosso le mie simpatie: non mi piaceva il suo modo assertivo di parlare e quel suo sentirsi “grande e forte” in qualsiasi contesto e di fronte a qualsiasi persona. Va detto che la mia è un’opinione maturata non per conoscenza diretta ma solo per quello che lui stesso faceva e fa conoscere di sé, attraverso le sue interviste, i suoi comunicati ed i suoi social.
Le ultime notizie di cronaca rosa/nera che lo vedono coinvolto mi spingerebbero a rafforzare questa mia idea ma, in realtà, quello che voglio sottolineare oggi è ben altro.
Anno 2023: irrompe sulle prime pagine dei giornali locali e nazionali che un uomo che ricopre una carica pubblica istituzionale è stato “beccato” a fare sesso nei locali dell’ente che rappresenta ed il “video-prova” che lo testimonia incontrovertibilmente ha cominciato a girare nelle chat e nei media in maniera ormai incontrollata. Ma siamo proprio sicuri che a fare parlare sia e debba essere il risvolto “sessuale” della notizia?

Credo che questo aspetto in realtà possa solo essere derubricato come una nota di colore, un qualcosa sui cui “cianciare” al bar o durante una pausa parlando con i colleghi. Ma un giornalista, quindi un professionista iscritto in uno specifico Ordine professionale al quale si può accedere tramite versamento di quote annuali dopo avere superato degli esami e al quale si può rimanere iscritti rispettando specifiche regole, frequentando corsi di formazione ed aggiornamento periodici, può fare da “cassa di risonanza” a tutto questo?Personalmente penso proprio di no.

Il Sig. Tidei ha una sua famiglia che tra un whatsapp, un post, un articolo e un servizio televisivo nel giro di poche ora ha visto la propria intimità sbattuta in prima pagina. E per intimità non intendo l’atto sessuale in sé del Sig. Tidei ma i propri equilibri, le proprie fragilità, il proprio essere famiglia nel modo per loro più o meno opportuno, più o meno doloroso o sereno.

Lo ripeto, il Sig. Tidei, per quello che “non lo conosco” non mi sta simpatico affatto ma quello che è accaduto va oltre l’etica professionale che qualsiasi giornalista dovrebbe avere. E’ un vizio antico che sembra restare sempre vivo ed anzi, con l’avvento del giornalismo “social”, sembra crescere esponenzialmente di anno in anno.
La moglie del Sig. Tidei, i loro figli, i famigliari tutti sono stati inseriti in un tritacarne di cui solo loro saranno davvero le vittime.  Non so se il Sig. Tidei ha dei nipotini ma vi immaginate cosa questa notizia possa generare in una comunità? Tra compagni di classe, tra colleghi, nel negozio sotto casa e l’elenco potrebbe continuare all’infinito.
E non vale la teoria del “se l’è andata a cercare!”: perché ad essere coinvolto non è stato e non sarà solamente lui ma molte altre persone a lui legate e la scelta di fare da cassa di risonanza “ad una fuga di notizie e materiali” è , per l’appunto, una scelta non un obbligo.
E non conta neanche la regola del “in politica tutto è lecito“: perché uno o più “avversari senza scrupoli” potrebbero anche tentare questa via ma dall’altra parte dovrebbero trovare un giornalista, quindi un professionista, che quella via la dovrebbe chiudere prima ancora che vi ci si possa posare il primo passo. Perché è una strada che non offre informazione ma porta direttamente al cuore di persone terze, che tocca sfere esistenziali, emotive che non possono essere minate per un pugno di mi piace o un trend-topic che dura poco più di qualche minuto (se si è bravi!)!
In questi giorni scrivere di questa “notizia” rilanciando hashtag, infatti, genera click a non finire ma, come ormai la storia recente ci insegna, tra poco di questo fuoco non resterà più nulla. Peccato, però, che nel suo bruciare le fiamme abbiano coinvolto persone che in quella stanza non c’erano, che non ricoprono incarichi pubblici e che ora si troveranno a fare i conti non solo con la notizia in sé ma con tutta una serie di “effetti collaterali” che il o i giornalisti di turno hanno reputato, reputano e reputeranno accessori, sacrificabili di fronte ad una “tale notizia che coinvolge la collettività tutta”…  ma che io, vedendo come è stata diffusa, sto ancora qui a chiedermi quale sia davvero!
Sara Pulvirenti

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