A Manziana l’acqua non c’è. Storia di ordinaria italianità.
Posted 6 febbraio 2012
on:L’Italia, si sa, è un paese di santi, poeti e navigatori ma è soprattutto un paese di italiani. Si può rimanere senza acqua proprio nel periodo più freddo dell’anno (e a detta di alcuni, addirittura degli ultimi 27 anni)? Si può venire a sapere che il paese ha le tubature totalmente a secco solo perché, per puro caso, un parente è andato al supermercato ed ha trovato un avviso senza data? Si può? In Italia si può. Ed in particolare a Manziana, cinquanta chilometri a nord di Roma, a due passi dal Lago di Bracciano.
Certo, ritornando alla celebre definizione scritta sulle mura del palazzo della civiltà dell’Eur di Roma, risulta difficile anche ai più abili navigatori provare a navigare proprio dove l’acqua è assente. Ma si sa, gli Italiani hanno mille risorse.
Allora tutto fa brodo (attenzione, però, anche per quello serve l’acqua!). Quindi si riscoprono vecchie bottiglie e taniche accatastate nelle cantine e nei garage, si fanno ordinativi dell’ultimo minuto garantendo la vendita dei “preziosissimi” oggetti per anni lasciati sugli scaffali dei negozi. Tutti in coda alle cisterne messe a disposizione della popolazione. Direte voi, bene, il problema è stato risolto?
Insomma, non proprio perché l’acqua distribuita non è potabile e così per cucinare si deve usare quella imbottigliata. E qui arriva il bello… tra neve e ghiaccio non è poi così semplice trasportare nove litri senza cadere. Allora passeggiando alla ricerca di scorci innevati, trovi il signore esausto, magro magro, con capelli bianchi e cappotto nero che ha percorso quasi un km e mezzo prima di arrivare a casa. Oppure più semplicemente vedi tante bacinelle colorate fuori dalle porte: l’italiano è furbo e quindi perché non raccogliere la neve e farla sciogliere? Metodo infallibile, se non fosse che per riempire un secchio di acqua sciogliendo la neve, ce ne vuole di tempo e di neve!
Ed allora, in mezzo a questa situazione apparentemente incontrollabile, incontri la quinta essenza dell’italiano: quello che aiuta il signore a portare le bottiglie a casa, quello che passa con la jeep a distribuire l’acqua a chi non può andarla a prendere o ancora quello che pulisce il marciapiede (non suo!) perché si rende conto che sarebbe davvero pericoloso percorrerlo con dei pesi addosso.
Due facce della stessa medaglia: da un lato l’incapacità di gestire la “semplice” rottura di una pompa e dall’altro, invece, la fantasia nel trovare soluzioni e darsi da fare. Di contorno a questa situazione, la solita disputa su responsabili reali e possibili. Dinamiche antiche, riprodotte da anni in televisione, che difficilmente arrivano ad una reale attribuzione delle responsabilità.
Insieme a questa classica dicotomia, però, c’è un fattore in più che, se solo venisse minimamente applicato al reale e non solo al parlato, permetterebbe di fare grandi cose.
In questi giorni, in coda a prendere l’acqua, avreste potuto assistere ad una disputa sulla situazione delle popolazioni africane che sono costrette da decenni a fare i conti con la carenza d’acqua. Oppure avreste potuto ascoltare i racconti delle persone più anziane che descrivevano la loro situazione da ragazzi, quando capitava spessissimo di andare a prendere l’acqua alla fontana, magari percorrendo anche dieci chilometri. Ancora, avreste riso alle parole di un signore buffo, paffutello, con un cappello a punta e le scarpe colorate: “Nun sembra, ma senza acqua è ‘n gran casino! Mo chi la spreca più! Se chiappo er mi fio co’ rubinetto aperto, lo crocchio!” (trad. Non sembra ma senza acqua è un bel problema. Ora chi la spreca più. Se prendo mio figlio con il rubinetto aperto, lo picchio!).
Ecco qua il punto focale di questa come di altre situazioni “italiane”: se una vicenda di questo tipo fosse realmente servita a fare capire quanto l’acqua sia indispensabile e quanto non vada sprecata, se davvero fosse riuscita a fare comprendere quanto sia fondamentale la collaborazione tra cittadini o quanto sia preziosa la capacità di ascolto delle generazioni più “mature”, chissà se quest’avventura sarebbe solo da archiviare come una pagina nera da dimenticare!
Chissà dove ci porterebbe la nostra italianità, se fossimo in grado di fare tesoro dei nostri errori?
Sara Pulvirenti
Ps: per dovere di cronaca devo specificare che la mancanza di acqua è durata dal 1 al 5 Febbraio.
1 | eugenio paolo d'aiuto
6 febbraio 2012 a 17:26
cara ” nobile” Sara… credo che il soggetto che crocchia il figlio se lascia il rubinetto dell’acqua aperto sia un animale di quelli non rari ma di piu’ purtroppo perchè abbiamo smarrito qualcuno direbbe la “retta via” e quindi quello che piu’ è da colpire è i colpevoli della politica che hanno creato questo o quel danno alla popolazione e al paese. se fosse vero che questa triste esperienza ci avesse insegnato o almeno ci avesse rinfrescato i punti importanti della nostra vita ben vengano le pompe rotte e la sofferenza di quattro giorni di mancanza d’acqua ma……..mia cara “nobile” amica credo che non sia così. comunque rifacciamoci con qualche nobile proverbio: la speranza è l’ultima a morire…. a presto.
saRastampa
7 febbraio 2012 a 08:16
“Nobile” Eugenio, intanto grazie per avere dedicato qualche minuto della tua giornata per leggere il mio blog! 🙂
Poi arrivo al dunque del tuo discorso…è vero sembra che difficilmente si impari dagli errori, ma, come te e forse con un pochina più di convinzione, credo che ci sia spazio per fare tesoro delle esperienze, con tutti i loro pro ed i loro contro. In fin dei conti crescere significa proprio questo, giusto?! 🙂
Buona giornata, “Nobile” Eugenio!